L’ideatore e direttore di “Teca del Mediterraneo”, ora scrittore ed editorialista, è un grande esperto nella realizzazione e gestione dei sistemi bibliotecari. Ecco cosa pensa della nostra Biblioteca comunale e quanto propone per rifondarla e darle un vero ruolo culturale propulsivo nella realtà cittadina.
Waldemaro, tu sei stato direttore della Teca del Mediterraneo, la biblioteca multimediale e centro di documentazione del Consiglio Regionale della Puglia.
Certo, dal 1994 al 2010. L’incarico fu conferito a me che ero un dirigente apicale della Regione, in servizio al Consiglio dal 1973.
I molesi ti conoscono perché sei un saggista e un romanziere, anche perché hai fondato l’Ecomuseo del Poggio delle Antiche Ville; i più anziani perché sei stato segretario e consigliere del PCI, meno però come direttore della biblioteca regionale, credo.
Non saprei! Io sono stato anche, dal 2002, il responsabile della comunicazione istituzionale del Consiglio: non proprio noccioline! In questa veste decisi la unificazione fra azione biblioteconomica e azione comunicazionale, una formidabile sinergia. Tutta la comunicazione istituzionale che oggi possiede il Consiglio Regionale è nata allora: pensa che il Consiglio non aveva neppure un sito web! Nei gruppi di lavoro della Conferenza dei Consigli Regionali d’Italia fui portatore di queste e altre novità, ad esempio di una concezione della comunicazione istituzionale basata sui valori del nuovo statuto regionale e dell’apertura delle biblioteche regionali al pubblico indistintamente: la Teca fu la prima in assoluto a farlo in Italia, nel 1996. L’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale volle che si affidasse, allora, ad un dirigente apicale la direzione della Biblioteca, concependola come una direzione “sul campo”, cioè come un dirigente che avrebbe fatto contestualmente il direttore della Biblioteca, non il supervisore burocratico restando nei suoi uffici separati.


E quindi?
Quindi significava, già allora, che la Biblioteca fu concepita come una vera istituzione culturale: dotata di una sua autonomia operativa al massimo grado, sia pure “in economia” e sempre naturalmente nell’ambito delle guide-lines dell’organo politico. Fu l’applicazione di un principio cardinale di quel movimento scientifico ed operativo che in Italia e in Europa andava sotto il nome di “New Public Management”: il principio manageriale applicato ad una pubblica struttura, così come si fa nel privato.
Si è trattato di una coincidenza? Perché parli di New Public Management?
Perché io già insegnavo discipline economico-aziendali nelle Università e presto entrai nel comitato scientifico della rivista “Azienda Pubblica”, diretta da Elio Borgonovi, oggi un grande emerito della Bocconi. Si raccolse attorno alla rivista un network ristretto ma agguerrito di studiosi e pubblici funzionari che volevano, appunto, modernizzare le pubbliche amministrazioni. Da qui sorse anche l’impulso a più di una legge nazionale in fatto di modernizzazione del pubblico. Insomma, la Teca divenne per me una sorta di incubatore in cui sperimentare, su basi scientifiche, un nuovo concept dell’azione pubblica. Michael Gorman, grande studioso e bibliotecario statunitense, in un libro intitolato La biblioteca come valore (Forum Editrice Universitaria Udinese) ha scritto che bisognerebbe unificare nuovamente le funzioni dei professori di biblioteconomia con le funzioni dei bibliotecari: ebbene, in Teca fu realizzato, pur se io non insegnavo biblioteconomia ma economia delle imprese e amministrazioni pubbliche.


Mi pare di capire a cosa vuoi alludere: se non c’è autonomia manageriale, non ci può essere una istituzione culturale!
Mi hai letto nel pensiero, bravissimo! La Biblioteca non può e non deve essere il “bancomat” dei politici, insomma, o una struttura grigia e amorfa. Teca del Mediterraneo è divenuta importante perché non fu mai un bancomat. In una recente dolorosa commemorazione, a Bari, di una grande bibliotecaria, Maria Antonietta Abenante, che fu mia collaboratrice in Teca, ho parlato della biblioteca come istituzione culturale e non come semplice deposito di libri (nella peggiore delle ipotesi) o come semplice agenzia di servizi, anche se raffinati e complessi (nella migliore). Qui viene fuori il mio pensiero di teorico della “ecobiblioteca”, cioè della biblioteca che si occupa della sua “casa” (oikos in greco), cioè del suo territorio, per interpretarlo, per migliorarlo, per sostenerne gli “spiriti” positivi. Ma non potrebbe mai essere istituzione attiva e feconda se non avesse dignità autonoma, sul piano operativo e decisionale. Teca del Mediterraneo lo è stata, ha risposto a quel valore statutario regionale che parla di una Puglia che opera fecondamente in mezzo al Mediterraneo (del resto detti alla Biblioteca appunto quella denominazione). Io ho portato a Bari perfino i bibliotecari dell’allora inaccessibile Iran degli ayatollah! In quella commemorazione di Maria ho citato il pensiero, convergente, di Jeffrey T. Schnapp, direttore del MetaLab della Harvard University e del nostro Alberto Salarelli (Università di Parma), che a Milano, nel marzo scorso, hanno parlato delle biblioteche come luoghi non neutrali, istituzioni capaci di esercitare una influenza sul territorio perché portatrici di una visione. Diciamo che si tratta di una applicazione feconda del pensiero neoistituzionalista, se vuoi.
Qui siamo a livelli che forse non tutti colgono. Ad esempio c’è una eco di tutto ciò nelle “biblioteche di comunità” della Giunta Emiliano?
Direi di no, ovvero poco. Nella interpretazione dei servizi culturali della Regione (leggi: assessore Loredana Capone) si cerca di trasformare tutto in agenzie per lo sviluppo turistico: vorrebbe farlo perfino con la rete degli ecomusei. Ti invito a leggere un articolo feroce sulla Notte della Taranta di Andrea Carlino (Corriere del Mezzogiorno del 23 luglio), docente all’università di Ginevra e già nella École Supérieure di Parigi: l’hanno già svenduta e trasformata in un baraccone buono per i Media. Così accade ora al Festival del Libro Possibile di Polignano, un evento buono per il gossip all’insegna della cultura “mordi e fuggi”, solo spettacolo. Ho pubblicato un libro in questi giorni su queste questioni: La cultura effimera. Nutrire la mente nel Sud dimenticato (Edizioni dal Sud). Per le biblioteche, ad onta del massiccio investimento (ma in grandissima parte per le infrastrutture) siamo su questa lunghezza d’onda. Per loro, le biblioteche “di comunità” significa che in esse si può fare di tutto, ed anche operare sui libri e sul “Knowledge” (la conoscenza)! La biblioteca come istituzione culturale che interviene sul territorio non esiste, in queste biblioteche “di comunità”, ad onta del nome (il “nomen”, in questo caso, non è “omen”, non è un auspicio!).
Forse tu hai una posizione alquanto radicale, ma non sei solo un teorico, anzi, hai dimostrato con i fatti come si costruisce una grande biblioteca. Ma ora veniamo alle “note dolenti”: Mola di Bari. Che ne pensi?
Intendi la Biblioteca Comunale di Mola, la mia città? È in una situazione penosa, un semplice deposito di libri con qualche utente che li legge e li chiede in prestito. C’è un progetto dietro? Zero. C’è personale professionale, cioè veri bibliotecari? Zero. Cosa ha fatto finora se non aprire e chiudere (non so neppure se hanno aggiustato l’ascensore) e attendere i visitatori? Insomma, un vero peccato. Eppure una città non cresce culturalmente con i Palii, con i Cortei “storici”, con le chiavi a Bellocchio, con i “Gustiamola” o girando film, eccetera eccetera. Queste cose, spacciate per cultura, servono al turismo, certo e in questo senso ma solo in questo le “sdogano”: ma va detto chiaro che la cultura non c’entra. Una città, invece, cresce se impianta importanti e solide istituzioni culturali (come ad esempio il Museo Pascali a Polignano), se ha scuole di ogni ordine e grado efficienti ed efficaci. Fra queste istituzioni deve necessariamente esserci una Biblioteca intesa come istituzione culturale. L’ecomuseo del Poggio (non parlo “pro domo mia”, tanto io passo…) dovrebbe essere considerata tale, una importante istituzione di interesse regionale e quindi coerentemente sostenuta.
Ma se ti chiedessi cosa fare per la Biblioteca di Mola tu cosa proporresti?


Ho già detto qualcosa partecipando ad un social molese. Anzitutto istituire un posto in organico per nominare un direttore della Biblioteca, almeno un funzionario di fascia alta che, in prospettiva, sappia gestire un budget dignitoso in autonomia, basandosi su una “carta dei servizi” aggiornata (il tempo dei “regolamenti” è passato da un pezzo!). Poi intervenire con uno staff di bibliotecari professionisti assunti “in outsourcing”: Io ho costruito Teca del Mediterraneo, a partire dal 1997, con giovani bibliotecari “in outsourcing”. Quindi porsi il problema della sede: sembra che l’attuale biblioteca, in Palazzo San Domenico, non disponga neppure del REI, il certificato antincendio, che per una biblioteca è essenziale. Se ciò è vero delle due l’una: o la biblioteca viene chiusa in attesa degli adeguamenti, oppure si stabilisce una data certa per adeguarla e nel frattempo qualcuno (il Sindaco o chi per lui) deve assumersi la responsabilità scritta di tenerla aperta.
La situazione, dunque, per te è sul serio grave …
Certo, direi di sì. Vorrei anche spezzare una lancia a favore dell’area di San Domenico. Io abito in campagna, ma l’abbandono in cui è tenuto San Domenico è imperdonabile! Sono stato di recente a Berlino (e sto anche per pubblicare un libro su Berlino, con Radici Future): ecco, alcuni angoli quieti e affascinanti di Berlino Est sono – facendo le debite proporzioni! – come San Domenico, a fronte del chiasso di altre aree… Ti ringrazio comunque per avermi dato la possibilità di intervenire su questo tema: sono stato per due mandati presidente della sezione pugliese dell’Associazione Italiana Biblioteche, oltretutto ho scritto molto sulle biblioteche (da ultimo il mio Bibliotecari e Biblioteche. Coltivare la mente allo snodo del XXI secolo, apparso nel 2016), quindi a questa questione tengo molto e spero che la si porti, prima o poi, a soluzione dignitosa.
Ringrazio caldamente il dott. Waldemaro Morgese per la significativa e propositiva intervista a “Mola Libera”.
Siamo certi che il suo pensiero sarà preso nella giusta considerazione dai nostri amministratori comunali, in primis dal Sindaco Colonna e dall’Assessore alla Cultura Parchitelli.
La biblioteca comunale è un bene troppo importante e prezioso per condurre vita anonima e stentata.
E, peraltro, non dimentichiamo che è collocata in uno storico edificio oggetto di una ristrutturazione incompleta e di carenze funzionali ragguardevoli.
Far rinascere la biblioteca significa in ogni caso ridare piena dignità e funzionalità a Palazzo San Domenico.